Vedi ultimo messaggio Arbitri, quel «buio» che li fa sbagliare

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PAVIA. L’arbitro non vede un rigore, un fuorigioco o una palla che varca la linea di porta? Da oggi magari continuerete a non giustificare un errore di Rosetti; ma una risposta alle vostre arrabbiature domenicali per un fischio contestato, potrà arrivare da chi studia i movimenti oculari e (attraverso un fenomeno fisiologico chiamato movimento saccadico) spiega perchè un direttore di gara può incappare in un errore. Daniela Zambarbieri, interista di vecchia data, docente all’Università di Pavia, ad Ingegneria biomedica svolge da 30 anni la sua attività di ricerca in questo settore. «Le conoscenze sul controllo dei movimenti oculari spiegano l’esistenza degli istanti di buio nell’esecuzione dei movimenti oculari rapidi, chiamati saccadici». «Poiché per avere una visione chiara l’immagine deve sempre cadere al centro della retina — spiega la docente —, attraverso i movimenti saccadici possiamo spostare lo sguardo da un punto all’altro della scena visiva. Però a causa delle velocità con cui gli occhi ruotano, avremmo una visione sfuocata». Ecco spiegati i problemi degli arbitri. «Nell’intervallo di tempo fra un lancio lungo e la palla che arriva all’attaccante, gli occhi impiegano un certo tempo per muoversi e questo crea zone d’ombra di pochi decimi. Le pause di buio impediscono la visione di un’immagine, fermata invece dall’occhio di una telecamera fissa o dal tifoso che stava casualmente guardando quella scena in quell’istante. Esempi? L’arbitro segue un rapido capovolgimento di fronte, la palla arriva veloce al centro dell’area, a quel punto un contrasto sfugge all’arbitro per quel decimo di secondo durante il quale i suoi occhi hanno dovuto compiere un movimento saccadico. Ecco spiegato il non fischio dell’arbitro che non ha potuto vedere quanto accadeva. Per spostare lo sguardo da un punto all’altro del campo, impiego almeno un decimo di secondo. Così ci sono situazioni in cui l’arbitro, o a maggior ragione il guardalinee, non può vedere: ha quell’attimo di buio che giustifica l’errore». Ma l’arbitro non si avvede del “momento di buio”? «Non solo lui, ma ognuno di noi non ne ha la percezione. Noi compiamo migliaia di movimenti saccadici in un giorno, per svolgere qualunque delle nostre azioni quotidiane: vediamo solo nelle pause di fissazione, cioè negli intervalli di tempo tra un movimento saccadico e l’altro. Tuttavia non ci accorgiamo minimamente dei brevissimi intervalli di buio, in quanto il nostro sistema nervoso centrale è in grado di integrare le informazioni visive e ci fa vedere in modo continuo». Non ha mai illustrato i suoi studi a qualche arbitro? «Ho avuto il piacere di discuterne con Paolo Casarin: la sua esperienza è una implicita conferma di quanto finora detto. Casarin mi ha spiegato che lui ha sempre insegnato ai suoi arbitri l’importanza di anticipare l’azione, capire cioè dove va il pallone. Se io sto guardando un’azione e vedo il pallone che parte, posso prevedere dove sta andando e cerco di anticiparlo spostando rapidamente lo sguardo per essere pronto sul punto caldo ed evitare di perdere dettagli della scena». Ha trovato altri studi specifici in materia? «Nella letteratura scientifica internazionale ho trovato solo una pubblicazione di un medico di base spagnolo che voleva dimostrare la necessità di rivedere la regola del fuorigioco, basando la sua teoria sui tempi di accomodazione dello sguardo del guardalinee che deve spostare il punto di fissazione a diverse profondità del campo visivo. Non sono però mai state effettuate verifiche sperimentali. I più moderni strumenti di registrazione dei movimenti oculari, potrebbero essere la risposta giusta per questa specifica esigenza. Da poco tempo ho acquistato per il mio laboratorio uno di questi dispositivi e ne sto verificando le prestazioni. Registrare il movimento degli occhi dell’arbitro e contemporaneamente la scena visiva, come si presenta ai suoi occhi, potrebbe fornire dati oggettivi e misurabili». Si potrebbe pensare, dunque, a nuove soluzioni? «A me ovviamente interessa il lato scientifico della questione: sicuramente delle verifiche sperimentali porterebbero a risultati interessanti, ma non ho idea se e quanto i vertici della Federcalcio, e soprattutto i tanti opinionisti della domenica sera, siano interessati a scoprire questi dati. Sono interista, fin dai tempi gloriosi della magica Inter di Angelo Moratti ed Helenio Herrera, e sono figlia di un arbitro. Se chiedessero la mia opinione direi che ci sono due possibilità: utilizzare telecamere fisse che inquadrano una specifica porzione di campo e un assistente dell’arbitro dedicato ad ognuna delle telecamere che quindi guarda la scena senza dover compiere ampi movimenti saccadici; oppure un po’ meno di paranoia da parte dei tanti e troppi esperti di calcio “a tavolino”, senza dimenticarci che nella sigla FIGC la lettera “G” vuole indicare il gioco».

Maurizio Scorbati
Daniela Zambarbieri, docente universitaria, studia i movimenti oculari

Fonte:
Espresso locale

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