Vedi ultimo messaggio Allegato(i) Daniele Orsato verso l'ultima stagione

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«Quando Ibra mi disse: arbitro, guarda come faccio gol adesso»



Il fischietto vicentino si prepara a quella che potrebbe essere la ultimo campionato in campo. L’idolo Agnolin: «Prese Maradona per la maglietta, non so se oggi potrebbe ancora farlo»

La sliding door di Daniele Orsato — dopo le scuole professionali e il sogno di diventare elettricista — è rappresentato da una scommessa. A 16 anni un amico che lavora con lui in azienda lo sfida a provare l’avventura arbitrale. Oggi a 47 anni Daniele Orsato è l’arbitro più vecchio d’Italia e quello internazionale più vecchio al mondo. E con il nuovo campionato di serie A iniziano per lui i «supplementari» di quella che non ama chiamare carriera ma «esperienza di vita». Una vita che ha raccontato in una bella serata pubblica nella «sua» Recoaro Terme.

Orsato, in campo ancora un anno e poi..?
«Ero convinto che il Mondiale in Qatar fosse stata la mia ultima esperienza sul terreno di gioco. E invece... Sono orgoglioso che la mia Associazione, l’Uefa e la Fifa mi abbiano spinto a continuare. Mi hanno detto che sono un punto di riferimento per i giovani perché devono sapere che per arrivare in alto ci vuole spirito di sacrificio. Non so dire quando finirà la mia avventura ma sono pronto ad affrontare quel momento. Ma posso dire che non ho mai fatto della partita la mia unica ragione di vita. Non sono preoccupato del giorno dopo perché qualcosa da fare ce l’ho e potrò stare di più con la mia famiglia».

Come è cambiato il calcio in questi anni ?
«Molto. Siamo partiti con le bandierine dei guardialinee in legno e siamo arrivati ad avere quelle elettroniche poi sono arrivati auricolari, arbitri di porta, il Var... Il mio idolo era Agnolin e non so se oggi uno come lui che ha preso Maradona per la maglietta, che prendeva i giocatori per le braccia e li faceva stare dritti davanti a lui con le mani dietro la schiena riuscirebbe ad arbitrare in serie A».

Un giocatore che ha stimato più degli altri?
«Christian Maggio . Lo conosco da tanti anni è ha fatto la mia stessa scuola e lui è il simbolo del rispetto e dell’educazione. Lui mi ha sempre chiamato arbitro e io lo chiamavo col suo cognome. Poi Javier Zanetti, un campione a cui dell’errore dell’arbitro non è mai interessato perché fa parte del gioco».

Resta la finale di Champions (Bayern-Psg del 2020, ndr) la partita delle partite per Daniele Orsato?
La coppa con le “grandi orecchie” è qualcosa a cui ambiscono tutti. Io ho avuto anche la fortuna di toccarla e di alzarla ed è stata una sensazione bellissima»

Un arbitro di errori ne fa. Lei ricorda il più grosso?
«Nella terza gara di seria A In Sampdoria-Atalanta diedi un calcio di rigore d’istinto : ci fu un cross e il pallone finì non sul braccio ma sullo stomaco del calciatore dell’Atalanta, che alzando la maglietta mi fece vedere lo stampo del pallone. Ma l’arbitro deve difendere le proprie decisioni e io difesi la mia anche se era sbagliata».

In Qatar c’era un italiano ma non c’era l’Italia. Che effetto le ha fatto essere lì?
«Il primo effetto è stata la mia convocazione alla selezione in Portogallo. Qui mi trovai con tutti ragazzi giovani, mi avvicinai ai designatori e dissi: ma io qui cosa c’entro? Mi risposero che prima di tutto veniva la qualità non la carta di identità. È vero: l’Italia non c’era, in compenso al fianco avevo la mia famiglia».

Ma quale potrebbe essere il futuro di Daniele Orsato?
«Sono pronto ad un futuro da allenatore degli arbitri per mettere a disposizione tutto quello che ho imparato».

Ha dei riti che segue prima della partita?
«Quando si arriva allo stadio, lo dico anche ai miei collaboratori, bisogna spogliarsi del sorriso e nello spogliatoio ascoltiamo musica. Ho messo insieme una playlist che ormai ha 25 anni. Dai Dire Straits al monologo di “Ogni maledetta domenica” fino alle canzoni dei film di Rocky».

E in campo?
«C’è un gesto che faccio sempre e di cui non si era accorto nessuno. A scoprirlo è stato un arbitro giovanissimo. Quando entro in campo prendo il pallone e lo lancio in cielo. Questo è il saluto che faccio alla mia famiglia e nessun altro, prima di me, deve toccare quel pallone, neanche un bambino».

Il fischietto per un arbitro è come il violino per un musicista, ovvero una cosa unica?
«Il mio fischietto giallo ha fatto 274 gare di serie A, la Champions, gli Europei e i Mondiali. Ho poi un fischietto di riserva che tengo con me e che ha stampati i nomi dei miei due figli».

Il giocatore che in campo l’ha impressionata di più?
«Ibrahimovic, quando lo guardavo in campo perdevo secondi di concentrazione. Ricordo un Lazio-Inter nel 2009: un contropiede a metà campo, lui solleva al cielo il piede poi si porta avanti la palla con il tacco, scavalca gli ultimi due difensori , tira in porta e segna. Restai di sasso. Durante un Inter-Fiorentina quando gli assegnai una punizione mi disse: guarda che gol faccio adesso. Posizionò il pallone e tirò una cannonata che entrò in rete. Poi si girò e mi disse sorridendo: hai visto cosa ho fatto? E restai senza parole».

Corrieredelveneto

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