L’arbitro che l’anno nuovo si accinge ad accogliere è un Ulisse al quale continuano a spostare la sua Itaca. Non sarà facile fissarne la mappa, adesso che Joseph Blatter e Michel Platini, tra gli esponenti più indiavolati del ribollir di regole, sono caduti in disgrazia. La televisione e la tecnologia, questa effetto di quella, hanno invaso il modo di dirigere, una volta sacro e inviolabile.
I giudici di porta - o addizionali che dir si voglia - costano 1 milione e 400 mila euro ad annata e sono in funzione dalla stagione 2012-13. Li volle, fortissimamente, Platini, e li difese con foga dall’avvento della goal line technology, il sistema anti reti-fantasma che la Serie A ha adottato dall’inizio dell’attuale campionato. Vennero reclutati proprio per questo, o soprattutto per questo.
Hanno ancora un senso, dopo la svolta? Credo di no. Impalati a fondo campo, in quella posizione «coccodè» che richiama la metafora della gallina, ogni tanto correggono errori e ogni tanto ne aggiungono. Lancio, in merito, una piccola proposta. Se l’obiettivo è la conferma, perché non liberarli da quelle zolle, da quella prigione? Perché non farli girare tra la linea di fondo e la linea laterale? C’è il rischio che, in alcuni casi, tamponino l’assistente di zona, vero, ma probabilmente i benefici sarebbero superiori, o comunque non inferiori all’esigenza di giustificare lo stipendio. In attesa di un contributo più capillare delle telecamere, potrebbero tenere d’occhio gli impatti tra difensori e attaccanti che, talvolta, accendono e confondono i confini dell’area: dentro o fuori, punizione o rigore. La celeberrima questione di centimetri.
In passato, prima che lo «stupro» del fuorigioco ne requisisse le funzioni e li mandasse alla neuro, ci pensavano i guardalinee. Oggi non più, o molto meno, visto che l’offside attivo in pratica è stato abolito, ma basta un piede «al di là» perché, improvvisamente, la bandiera vada sventolata; e beccare un piede, se non un alluce, proprio riposante non deve essere.
L’«addizionale itinerante», tra parentesi, non costerebbe un euro (in più) nel vero senso della parola, e del contratto. Naturalmente, in coincidenza con una punizione dal limite o di un calcio d’angolo, tornerebbe al domicilio abituale, pronto a consegnare alla legge i banditi che il Far West delle mischie custodisce geloso (e, spesso, premuroso). Si può provare l’effetto che fa e, provatolo, insistere o desistere: meglio una cattiva decisione che nessuna.
Più si procede con l’arbitraggio di gruppo, più si rischia di dover reinventare l’arbitro il giorno in cui si optasse per un repentino ritorno alle origini, scenario che molti caldeggiano. L’arbitro centrale dovrebbe recuperare una visione globale che oggi, viceversa, condivide con il resto del gruppo, come certificano le «assemblee di condominio» che hanno agitato la storia recente. In Sassuolo-Roma del 30 marzo 2014 Nicola Rizzoli ebbe bisogno di 4’36” per cancellare un rigore di Benatia su Sansone suggeritogli dallo sceriffo di porta, Sebastiano Peruzzo, rigore che non c’era. In Blue Jays- Texas Rangers del baseball Usa si è arrivati addirittura a 18 minuti di pissi pissi: in ballo, la traduzione di un punto cruciale che, accordato ai Rangers, scatenò l’ira selvaggia del pubblico.
Per concludere, un appello ai padroni del vapore. Le barriere tra arbitri di Serie A e arbitri di serie B vanno eliminate. Se la libertà è partecipazione (Giorgio Gaber), la partecipazione è capacità (anonimo). Il cartello dei grandi club insiste con il numero chiuso? Un buon motivo per abbatterlo, subito.
Fonte:
La Gazzetta dello Sport del 17/12/15, pag. 21