Ciao a tutti.
Avrei preferito che il mio primo post non fosse relativo a vicende "tristi", ma dopo la lettura della rivista, mi sa mi sa che qui ci resta poco tempo prima di essere "EPURATI" tutti, così come è successo a Buio!
Vi riporto un articolo pubblicato su una rivista locale in risposta al meraviglioso editoriale del Nostro Presidente della Commissione Disciplina d'Appello: a voi i commenti! E' un pò lunghetto, ma merita!!!
L’articolo pubblicato sulla rivista “l’Arbitro”, ad opera del dott. Aldo Bissi, merita elogio ed apprezzamento per la chiarezza espositiva e la pertinenza degli argomenti trattati. In particolare, il Presidente della Commissione Disciplina d'Appello dell'AIA, estensore dello scritto, si sofferma sulle peculiarità positive della cosiddetta “giustizia domestica”, il sistema di giustizia che giudica sulla condotta degli arbitri e che realizza un concreto esempio di autodichia, che letteralmente significa “amministrare la giustizia da se”, nel proprio ambito.
Bissi si sofferma sugli aspetti squisitamente tecnico–giuridici del sistema sottolineandone le indubbie positività, quali, ad esempio, il doppio grado di giudizio, la possibilità degli arbitri sottoposti alla procedura di farsi assistere da procuratori estranei all’associazione, la massima autonomia tra i vari organi giudicanti, al fine di assicurare la più assoluta terzietà ed imparzialità di giudizio. In altre parole, l’articolo delinea in modo inequivocabile, la perfetta coerenza di un sistema sensibile alle esigenze di giustizia e pienamente rispettoso delle garanzie individuali.
Le tesi, esposte in modo così convincenti dal dott. Bissi, inducono chi scrive ad alcune amare riflessioni, originate dall’osservazione della realtà concreta della Commissione Disciplinare e della Procura Regionale della Campania; nello specifico, si vuol fare riferimento all’operato del dott. Quartuccio e del Procuratore D’Alessandro e, in sede giudicante, del dott. Grilli.
L’illustrazione, seppure sommaria e sintetica, di alcune decisioni, dei predetti organi di giustizia, faranno comprendere in modo palese il pensiero dello scrivente. Alcuni arbitri hanno subito pesanti sanzioni disciplinari per violazione dell’art. 40, comma 4, lettera a), del Regolamento associativo, in quanto avrebbero diretto partite di un torneo amatoriale, senza la formale designazione da parte del Presidente di Sezione. Nessun rilievo è stato riconosciuto agli argomenti difensivi proposti dai tesserati i quali hanno, in buona sostanza, sostenuto di aver ricevuto l’incarico di dirigere le predette gare telefonicamente, dal Presidente o da un suo incaricato, come, di consuetudine, avveniva da tempo. Gli arbitri, sottoposti al procedimento disciplinare, hanno cioè invocato una fonte di diritto, la consuetudine, perfettamente operante nel nostro ordinamento, fondata sulla ripetizione di comportamenti reiterati nel tempo, nella convinzione di adempiere ad un preciso dovere. Il loro atteggiamento, quindi, è stato pienamente rispettoso, sia della normativa vigente, sia del decoro e del prestigio dell’associazione, che in nessun modo hanno avuto intenzione di ledere.
Il giudice di prime cure, invece, ha ritenuto non fondati i motivi addotti dagli accusati e li ha condannati per parecchi mesi alla sospensione dalle attività, mentre non ci sono tracce di sentenze per il “mandante”: ovvero, il Presidente della Sezione di allora, attualmente Componente C.R.A., con delega all’O.T.P., della Commissione presieduta dall’ing. Alberto Ramaglia. Leggendo le motivazioni dei giudicati cui si fa riferimento (e che il Dott. Bissi potrà facilmente consultare), non si ravvisano in alcun modo quei principi di alta cultura giuridica, evidenziati nell’articolo, del quale s’è fatta menzione: arbitri che adempiono al loro incarico, ricevuto in circostanze di luogo (locali della sezione di appartenenza) e con modalità consolidate nel tempo, sono accusati e puniti per aver recato lesione al decoro della AIA in quanto la designazione non sarebbe stata formalmente corretta! Arrecare lesione al decoro significa comportarsi in maniera vergognosa, espletare le proprie funzioni in modo contrario alle regole, assumere atteggiamenti oltraggiosi di persone e cose. Un arbitro che dirige una gara, che a fine partita riceve il saluto cordiale degli organizzatori ed ai quali sono state riferite le notizie e i provvedimenti adottati (disposizioni avute nel momento della designazione, avvenuta telefonicamente, dal Presidente o da chi ne fa le veci), non ha certamente disonorato la casacca che indossa e non ha certo diminuito il prestigio dell’associazione di appartenenza!
Lacunosa, a nostro dire, risulta la considerazione fatta dal dott. Giuliano Grilli, (questa volta aggiungiamo anche il nome, per correttezza d’informazione), il quale ha riferito ad uno degli associati: “Sì, convengo con la tua tesi che sei stato designato dal Presidente di sezione, ma visto l’anomalo viatico (referto non redatto e quanto altro), ti dovevi accorgere che qualcosa non andava e dovevi denunciare l’accaduto”.
Una domanda sorge spontanea: Quale sentenza ha punito il Presidente di sezione che ha designato l’arbitro? Soprattutto in considerazione della parziale condivisione, da parte del Grilli, delle tesi difensive dell’accusato?
I dubbi sulla imparzialità della sentenza aumentano, in vistosa misura, quando si riflette sul diverso trattamento riservato ad altri arbitri che hanno tenuto il medesimo comportamento. Anch’essi hanno diretto gare dello stesso torneo, anche loro hanno ricevuto l’incarico verbalmente, eppure di questo gruppo, per alcuni è scattato un misero provvedimento di sospensione (max due mesi), per altri, addirittura una censura. A questo punto, una domanda sorge spontanea: alcuni colleghi non sono stati puniti perché appartenevano al carro vincente? Come si possono conciliare questi pronunciamenti della Commissione Disciplinare di Primo Grado con gli altisonanti e condivisibili enunciati che, ampiamente e chiaramente, il più volte nominato Bissi ha proclamato nell’articolo di cui si discute? Per quale motivo non è stata comminata nessuna pena al Presidente di Sezione? Come può un personaggio del genere mantenere un posto ancora in una Commissione Regionale? Per quale motivo, dopo una sentenza, è stato contattato telefonicamente un associato ed il padre dello stesso, allo scopo di farli desistere dal promuovere giudizi dinanzi alla Commissione Nazionale presieduta dal dott. Bissi? Forse per nascondere qualcosa? Forse per non portare a livello nazionale misfatti locali? Domande che non hanno, al momento, risposte.
A chi scrive pare che non vi siano dubbi sull’intento persecutorio che ha animato e permeato le sentenze di cui si discute. Non vi è in esse, lo spirito di terzietà e d’imparzialità, che deve connaturare ogni pronunciato, di qualsiasi giudice. Viene da chiedersi: è questa la giustizia domestica che vogliono gli arbitri, sono questi i prezzi che si devono pagare per ottenere il prezioso dono dell’autonomia o, per meglio dire, dell’autodichìa?
Le perplessità aumentano quando si esamina un altro caso di “malagiustizia”, verificatosi sempre davanti alla Commissione Disciplinare di Primo Grado, di cui s’è fatto cenno. Il caso è analogo ai precedenti: un arbitro viene accusato di avere diretto, senza averne l’autorizzazione, una partita di calcio al posto di un suo collega. L’accusato si difende sostenendo che nel giorno e nel luogo indicati dalla commissione egli si trovava presso la sua azienda dove normalmente lavora. La Procura Regionale, incaricata delle indagini, compie degli atti che giuridicamente si possono definire abnormi, se non addirittura illeciti. Gli organi inquirenti, infatti, esibiscono un documento fotografico, che ritrae l’arbitro in questione su un campo di calcio. In tale foto non è ravvisabile la data, il luogo preciso ove è stata scattata, e soprattutto l’ora in cui il documento fotografico è stato formato. La foto, inoltre, è stata scattata da un soggetto estraneo all'Associazione, come candidamente ha ammesso lo stesso incaricato dell’istruttoria. Il dott. Grilli afferma che il documento è attendibile, in quanto sottoposto ad esame approfondito presso un laboratorio specializzato della Procura della Repubblica di Nola, dove lui collabora e dove viene sancita l’integrità della foto e del d.v.d. Dov’è la relazione o documentazione, redatta dal laboratorio, da cui si evince che la foto sia è da considerarsi probante? Può una Commissione di giustizia domestica, ricorrere, senza avvertire la controparte, ad un organo di giustizia ordinaria? Per quale motivo il Procuratore Aggiunto non ha esaminato ed analizzato il referto redatto a fine gara, unitamente alle relative distinte di gara, i quali recano la firma dell’arbitro che, sempre con le stesse modalità di designazione (telefonicamente), ha effettivamente diretto la gara? Se il dott. Grilli si vanta di essere consulente della Procura della Repubblica, perché non ha, in collaborazione della Procura medesima, effettuato una perizia grafica per verificare l’autenticità delle firme apposte sui cennati documenti?
Per una visione più completa del caso, si aggiunge che l’accusato, per dimostrare la sua estraneità ai fatti, ha esibito un attestato della ditta di appartenenza, ove è precisato in modo chiaro ed incontrovertibile che, nel giorno e nell’ora di svolgimento della gara, egli prestava regolarmente servizio nei locali della società, dove lavora. La Procura Regionale, incurante delle ragioni addotte, che pur rispondono ai criteri di obiettività, ha inviato un collaboratore del C.R.A. (tale Carmine Conte, collaboratore di Virginio Quartuccio), il quale, forse per rafforzare la sua immagine di Pubblico Ufficiale, si presentava in divisa di Vigile Urbano nella ditta di cui sopra, per verificare la veridicità delle affermazioni dell’arbitro, violando, in tal modo, le più elementari norme a garanzia della privacy e della segretezza, tutelate dall’ordinamento giuridico italiano. Assumere informazioni sulla vita privata di un cittadino è consentito solo all’autorità di polizia giudiziaria, in presenza di un preciso ordine o mandato della competente autorità giudiziaria! Il documento della ditta è stato ritenuto non probante, in quanto mancante di alcune formalità. I giudicanti dimenticano, volontariamente, che un certificato, pur irregolare nella forma, non perde la sua obiettiva validità e che la veridicità di quanto in esso contenuto può essere comprovata con il semplice interrogatorio del responsabile della società estensore del predetto attestato. Quest’ultima operazione non è stata minimamente intrapresa dall’autorità giudicante!
Vorremmo, in conclusione, porre l’attenzione su un aspetto non secondario della questione: mentre, nel verbale di audizione, l’esimio dott. Grilli sosteneva che l’indagine sulla foto era stata svolta da lui personalmente, in quanto consulente del Procuratore della Repubblica di Nola. In tale veste si era avvalso di un laboratorio specializzato. Il motivo per il quale il predetto si era rivolto ad un organo della giustizia ordinaria non ci è stato riferito; che fine ha fatto l’autonomia, tanto invocata ed auspicata dal dott. Bissi?
Del palese errore, evidentemente, il suddetto Grilli si è reso conto. Ed infatti, nella notifica del provvedimento, non fa menzione del predetto laboratorio e della Procura di Nola ma, genericamente, fa riferimento ad indagini della Procura Regionale.
In conclusione di questo modesto commento all’articolo del dott. Bissi, si vuole semplicemente affermare che tutti gli arbitri sono fieramente orgogliosi di una giustizia amministrata all’interno della propria Associazione, segno inequivocabile della loro autonoma sovranità, ma aspirano ed auspicano che questo sistema giudicante regionale, oggi malamente affidato a Quartuccio, Grilli e tanti altri, sia, in futuro, lo specchio fedele di un equilibrio e di una serenità di comportamenti, che francamente, per alcuni colleghi non è dato ravvisare.
E’ di non poco sollievo per chi scrive – anzi, è motivo di piena soddisfazione – la circostanza che le argomentazioni contenute in questo commento trovano eco e riflessione in un’inchiesta della Procura Federale della F.I.G.C., che è stata investita della questione. Il sottoscrittore del presente documento è certo che l’esigenza di giustizia, che lo ha mosso a scrivere le righe che precedono sarà pienamente realizzata dall’illustre Organo Federale.
Pertanto, si possono chiudere queste considerazioni con un appello, rivolto alla nominata Procura (con l’auspicio che degli aspetti penali della vicenda possa interessarsi la Procura della Repubblica competente per territorio), affinché faccia piena luce sui fatti di cui si discorre e pervenga ad una decisione equa, illuminante, ma soprattutto consenta ad una Giustizia Arbitrale con la G maiuscola di prendere il sopravvento rispetto ad una giustizia arbitrale con la g minuscola e sommaria, che al momento alberga in questa regione: la sventurata Campania.