È di pochi giorni fa la notizia che il nuovo presidente provinciale dell’Associazione italiana arbitri è una donna, la prima volta che succede in Emilia-Romagna e la seconda in Italia. Barbara Panizza è iscritta all’associazione da ventuno anni e ora ne è il massimo esponente. Ravenna & Dintorni l’ha contattata per chiederle come ci si sente in un mondo, quello del calcio, prettamente maschile.
Presidente dell’Aia. Come ci è arrivata?
«Devo dire che è la proposta della mia candidatura è venuta direttamente dal consiglio direttivo, formato da dodici amici più che colleghi, altrimenti non mi sarei proposta».
Come è nata la sua passione per il pallone?
«Da bambina giocavo a calcio in una squadra femminile ravennate, ma poi mi ruppi il ginocchio, così a 18 anni ho deciso e iniziato a fare l’arbitro».
Da arbitro, quali categorie ha raggiunto?
«Nel calcio a undici ho raggiunto l'Eccellenza, in quello a cinque la serie A».
Quali sono le qualità che deve aver un buon arbitro in campo?
«Anzitutto la preparazione atletica. Ormai un arbitro corre di più di un calciatore, perché a differenza sua deve coprire tutte le zone del campo: è difficile, tranne in rari casi, trovare un attaccante in difesa, mentre un arbitro deve essere ovunque. Poi occorrono personalità e carattere per gestire gli atleti, in caso contrario certe categorie è difficile superarle. Il carattere lo costruisci con l'esperienza, e se lo possiedi riesci a gestire bene tutte le competizioni. Io poi sono un po' matta: dopo la seconda protesta, ammonisco».
In cosa consiste invece il suo attuale lavoro in associazione?
«Ora non arbitro più ma faccio il commissario. Devo seguire 143 arbitri, assicurandomi che si allenino e spronandoli ad arrivare al massimo delle loro potenzialità. Inoltre sono io ad avere l’ultima parola su chi mandare ad arbitrare in giro per la Romagna. È un lavoro decisamente impegnativo, abbiamo riunioni quasi tutti i giorni, e ovviamente devo seguire anche le gare dove i ragazzi arbitrano».
Il calcio è un sport prettamente maschile. Come si deve rapportare una donna a questa disciplina?
«È chiaro che la donna debba dimostrare qualcosa di più, a livello fisico è impossibile uguagliare gli uomini. Si deve allenare di più, anche perché i tempi da rispettare nei test atletici sono gli stessi che per gli uomini. Ciò non toglie che se una donna possiede la personalità giusta possa arrivare al livello degli atleti maschi».
Ci sono stati, nella sua carriera, episodi spiacevoli?
«Ho dovuto affrontare due o tre episodi violenti nei miei anni da fischietto, come un pugno in faccia da un calciatore o il lancio di bottiglie dagli spalti. Questo tipo di episodi è paradossalmente più facile capiti nel settore giovanile, perché più si fa carriera e più ti considerano come un arbitro serio. Nel settore giovanile, invece, i genitori hanno la loro colpa per la maleducazione. Se non attaccassero l’arbitro ogni volta che fischia ci sarebbero meno problemi, anche tra i ragazzi. Per un giovane in campo, sentire il proprio padre urlare, non è per nulla educativo. Questa situazione va migliorata, ma in Italia siamo ancora indietro in questo ambito».
Per che squadra tifa il presidente dell'Aia?
«Ovviamente non posso dirtelo (ride, ndr), ma è una squadra di serie A».
Oltre ad arbitrare lei è anche un’operatrice dell’associazione contro la violenza sulle donne, Linea Rosa.
«Sì, sono la responsabile delle case rifugio».
Ultimamente l’associazione si è distinta per uno spot che vede attore protagonista Nicola Rizzoli, arbitro di serie A e della finale degli ultimi mondiali.
«Nicola è un amico, lo conosco da anni, e si è prestato cordialmente a questo progetto. Con l’associazione tentiamo di utilizzare qualunque mezzo per avvicinare più persone possibili».
In questi giorni si parla della candidatura di Ravenna a città europea dello sport per il 2016. Cosa ne pensa?
«In realtà non ho seguito bene il progetto, ma la nostra città ha una buona realtà e storia sportiva, basti pensare allo storico Ravenna calcio in serie B o agli ultimi risultati della squadra di basket. Secondo me, però, in questo senso Ravenna è una città strana: i ravennati si appassionano difficilmente allo sport locale, potrebbe essere più seguito e sostenuto».
fonte: http://www.ravennaedintorni.it/