Occhio di falco e polso fermo: sembrano i nomi di due capi indiani, due Sioux del carrozzone del calcio di serie A che fanno capolino tra le montagne del Friuli, l’unico posto in Italia dove d’estate la Figc organizza un torneo dilettanti, il campionato Carnico. «Quest’anno l’ausilio della tecnologia deve andare di pari passo con la tolleranza zero in fatto di proteste: l’abbiamo detto chiaramente alla nostra squadra che si è radunata a Sportilia»: il gran capo degli arbitri, Marcello Nicchi, è distante chilometri e chilometri dal grande calcio, si è arrampicato nel profondo Nordest per stringere la mano ai 73 giovani componenti della sezione Aia di Tolmezzo – 22 anni l’età media –, accompagnato dal presidente Nicola Forgiarini. «L’ho fatto perché la base è troppo importante per il nostro futuro. In 103 anni di storia ne abbiamo fatti di passi da gigante in termini di competitività, autorevolezza e credibilità, ma se vogliamo aiutare a crescere il movimento calcio dobbiamo dare il nostro contributo soprattutto in termini culturali. In queste sezioni, nelle nostre 210 sezioni sparse in tutta Italia, c’è ricchezza: si respira la vera essenza delle associazioni, un patrimonio che può aiutare a migliorare anche uno sport che è diventato sempre più business. E non lo dico in termini negativi».
Un modo per sottolineare le pressioni che animano la serie A, fatta di interessi, investimenti, grandi rivalità. E polemiche che a cadenza regolare coinvolgono i direttori di gara. Mai pensato al professionismo puro per gli arbitri di vertice?
«Non ci credo. Credo ad altro. Ad altri valori. Dobbiamo spostare l’attenzione della gente dal risultato allo spettacolo calcio: ci si diverte così, non prendendosi a male parole. I nostri arbitri, poi, non sono di certo gli ultimi. Eppure certe volte vengono messi in croce per decisioni difficili, tutt’altro che scontate: lo scorso anno successe dopo poche giornate».
Si riferisce all’arbitraggio di Rocchi in Juventus-Roma?
«Parlate voi degli episodi. Io preferisco sottolineare, a titolo simbolico di un movimento di qualità, la finale dell’ultimo Mondiale: l’ha arbitrata un italiano, Rizzoli, e mi pare che siano arrivati soprattutto complimenti».
Di recente ha però parlato di una possibile riunificazione di Can A e B: insomma, numericamente nella massima serie non ci sono poi tanti arbitri.
«La difficoltà nelle rotazioni, soprattutto in certi periodi della stagione c’è: gli arbitri in A sono solo 24, ma spesso dimentichiamo la qualità: dieci sono internazionali e tra questi ben quattro sono nel top club. Un riconoscimento sul buon lavoro che stiamo facendo con tutta una serie di ex che non ha voluto lasciare l’Aia una volta chiuso con il campo. L’attuale designatore Domenico Messina, ma anche Rosetti, Farina, Giannoccaro, Trefoloni sono nomi conosciuti che abbiamo apprezzato negli anni e che hanno continuato a lavorare con noi. E comunque, ritornando all. a domanda, l’interscambio tra A e B esiste già adesso, visto che alcuni giovani vengono messi alla prova durante l’anno al piano superiore».
Nel campionato alle porte riceverete finalmente una mano dalla tecnologia sul cosiddetto gol fantasma.
«Pensando agli investimenti rivolti alla base, qualcuno avrebbe preferito girare cinque milioni al Settore giovanile scolastico: ma io non voglio fare il moralista, dico che se le società hanno chiesto un ausilio per decidere con uno strumento elettronico se un gol era tale per pochi centimetri vuole dire che per loro era importante. Noi come arbitri dobbiamo cavalcare l’onda. Ora quegli occhi a fondo campo, quelli degli assistenti, potranno abbandonare la linea di porta e dare una mano all’arbitro per farsi sfuggire meno falli in area».
Come vede il calcio futuro? Con una moviola a bordo campo ad aiutare gli arbitri?
«No. Sono in piena sintonia culturale con le linee di Fifa e Uefa che considerano il fattore umano e quindi anche l’errore una delle peculiarità di questo sport. Di questo gioco. E proprio perché deve restare un gioco nella sua essenza che quest’anno abbiamo raccomandato ai nostri arbitri la tolleranza zero in fatto di proteste. Basta parapiglia, proteste collettive, capannelli in campo: tirare fuori i cartellini subito perché dobbiamo educare il calciatore che ci sta di fronte e anche quello, più giovane, che sta a casa davanti al televisore. Lo scorso anno oltre 600 arbitri hanno dovuto farsi curare per aggressioni sui campi della nostra penisola. Colpa anche dell’emulazione».
Occhio di falco, polso fermo ma anche grande bavaglio: siete visti dal di fuori anche così. I suoi arbitri parlano ancora troppo poco, certe volte potrebbero spiegare il perché di una decisione.
«Non ho mai negato a un arbitro il permesso per un’intervista. Ma non sentirete mai parlare un direttore di gara a caldo, subito dopo il 90’, con l’adrenalina in corpo.Non sarebbe un contributo alle spiegazioni. Solo benzina sulle polemiche».
fonte: Il TIrreno