Davanti a Osvaldo Soriano, maestro di calcio e di sogni, si presentò con un’arancia: via a un palleggio forsennato. Magico. Alla fine Maradona, lì nel ritiro argentino a Italia ‘90, chiese quante volte avesse toccato la palla con la mano. «Nessuna», rispose lo scrittore. Anche quella volta l’aveva fatta franca: non si era accorto della manina di Diego, come il povero arbitro tunisino quattro anni prima. Piccola consolazione per Ali Bin Nasser: oggi è un nonno 72enne, ma 30 anni fa guardava la storia compiersi sotto i suoi occhi. Il 22 giugno 1986 ha arbitrato il mitico quarto di finale Inghilterra-Argentina, ha visto le due facce di Diego mostrarsi al mondo: il diavolo della mano de Dios – una beffa atroce anche per lui e non solo per gli inglesi –, poi quel prodigio accecante tra mille maglie bianche.
Bin Nasser, cosa si ricorda di quel pomeriggio caldo che ha cambiato la sua vita e il calcio?
«Ricordo tutto e poi ho rivisto quelle scene mille volte: prima solo in tv, adesso su Internet. Se volete sapere come è andata, vi dico subito che non è colpa mia».
Di chi sarebbe la colpa, allora?
«In quel Mondiale gli assistenti non erano considerati come adesso, l’arbitro doveva decidere su tutto. Allora la Fifa ci aveva dato un consiglio: se il guardalinee era meglio piazzato e l’arbitro non aveva visto, bisognava prendere in considerazione la decisione del collega. Fidarsi di lui. Io avevo dei dubbi, ma ho visto il guardalinee bulgaro Dotchev correre verso il centrocampo e ho dovuto adeguarmi».
Ma nel tempo Dotchev le ha scaricato la colpa e l’ha pure insultata pesantemente.
«Ho preso 9,4 su 10 nel voto della Commissione tecnica della Fifa: hanno detto che io, l’africano, avevo seguito le consegne alla lettera. Non bisogna aggiungere altro, anche lui è stato fregato dalla mano di Shilton».
Vi siete più rivisti da allora?
«Ci siamo scritti: per anni diceva la verità, ammetteva che la responsabilità era la sua. Poi nel tempo ha cambiato idea, ma sono sicuro che non sia stato condizionato dal fatto che di mezzo c’era Maradona: aveva personalità sufficiente».
Ha mai pensato cosa sarebbe successo se avesse fischiato?
«Vi rivelo un segreto: se avessi avuto come collaboratori dei giovani assistenti, mi sarei fidato della mia sensazione e della mia esperienza. Avrei deciso di annullare. E magari non ci sarebbe stato il secondo gol. In ogni caso, io ho continuato a fare l’arbitro ad alti livelli: sono stato per dieci anni il miglior fischietto del mio continente, ho fatto tre finali di Coppa d’Africa. E anche dopo, ho avuto diversi ruoli nella federazione tunisina e nella Caf».
Invece, Maradona l’ha visto l’anno scorso: come è stato?
«Era a Tunisi, mi ha addirittura chiamato “amico eterno”. Abbiamo parlato di calcio e, ovviamente, di quella partita storica. Gli ho detto che se l’Argentina alla fine è diventata campione, lo doveva soltanto a lui, a Maradona. Mi ha risposto dicendo che la sua seconda rete, il gol del secolo, è invece merito mio: non ho fischiato subito, non ho fermato la sua avanzata».
Ha avuto mai del risentimento? Si è sentito preso in giro dal Pibe?
«Forse all’inizio, ma poi ho perdonato: in fondo è parte del gioco. Di quella partita ricordo anche il caldo: 42 gradi all’ombra. Quando l’Inghilterra ha accorciato, ho pensato: “Ora mi tocca un’altra mezzora...”. Ma ero pronto, stavo dominando il match, avevo il controllo della partita: quel mio modo di arbitrare ha fatto persino scuola».
E lo slalom del 2-0 visto da vicino cosa le ha lasciato dentro?
«Parlo da appassionato di calcio e non da arbitro: è stato un privilegio essere lì, fare parte di quel momento. La storia non si cancella. Quando Diego si avvicinava verso l’area, pensavo solo: “Poveri inglesi, poveri difensori, ora li salta tutti”. Era davvero capace di ogni cosa».
È il migliore di sempre per lei?
«Ho arbitrato tanti grandi giocatori, ma nessuno è come lui. Oggi ci sono più spazi: Messi e gli altri del Barcellona sono magnifici, ma io scelgo sempre Maradona. Per quello che rappresenta e per come rivoltava da solo una partita».
E degli arbitri di oggi cosa dice? Servirebbe più tecnologia?
«Ormai è tutto un business, il calcio è una industria: si arbitra meglio, certo, si fanno meno errori, ma è impossibile pensare di azzerarli del tutto mettendo più soldi. Il calcio è un fatto umano, sbaglieremo sempre»
Fonte:
La Gazzetta dello Sport del 22/06/16, pag. 27