Questo giornalista ha ragione: le donne non capiscono il fuorigioco; le donne non fanno 18.1 allo Yo-yo; sono mingherline rispetto ai colossi contro cui ci scontriamo in campo e hanno la voce tanto stridula che ad ogni richiamo mi ricordano una via di mezzo tra una maestra d'asilo e mia madre che mi insegue per il soggiorno con le ciabatte.
Le donne sono goffe anche se vestite di nero; le donne piagnucolano quando l'osservatore gli fa un richiamo, oppure, se non glielo fa sappiamo tutti esattamente il perchè..... le donne sono una rottura di scatole perchè c'è bisogno di due spogliatoi quando le portiamo al campo e, se per caso guidano loro parcheggiare quando arrivi al campo è un casino.
Le mie colleghe, però, si sono consumate i neuroni per imparare il regolamento, tutto, non solo la regola 11. Le mie colleghe corrono con me allo Yo-yo finchè l'ossigeno non smette di arrivare ai muscoli, le mie colleghe devono sbaraitare in campo perchè a differenza loro qualcuno il regolamento non l'ha mai neanche letto. Le mie colleghe portano la mia stessa divisa, la stessa bandiera che fa sapere a tutti che da oltre cent'anni siamo una istituzione che ha saputo cogliere ben più di un successo. Le mie colleghe hanno bisogno di uno spogliatoio tutto per loro perchè il mio mesencefalo è troppo troglodita per riuscire a concentrarsi sulla lettura delle distinte mentre si chinano per allacciarsi le scarpe e, infine, quando le mie colleghe guidano l'AIAcar..... e, no, le mie colleghe non guidano, un po' di sana cavalleria.
Non fa alcuna differenza se ti penzola la proboscide nei calzoni o ti sporge il davanzale sotto la camicia: quello che conta è che siamo tutti "arbitri" degni della stessa considerazione perchè preparati, allenati, studiati, qualificati, certificati, educati e nonostante tutto questo, crocefissi gratuitamente ogni domenica dai chiodi dell'eterna sfida contro noi stessi, i nostri limiti e la perfezione oltre che irrisi allo stesso tempo per come gestiamo una "responsabilità" che tutti gli altri non hanno il coraggio nemmeno di provare ad assumere o condividere.
Questi pensieri, e la severità dei provvedimenti che dovranno essere presi avverso questo signore e questo modo di pensare sia sul piano giuridico che culturale non sono semplicemente motivati da uno spirito di "associazionismo" o dal fatto che abbiano sparato contro un lupo del mio branco. E, nemmeno solo dalla necessità di correre in soccorso dell'altro sesso per cavalleria o moda femminista del momento....
Le radici stanno piuttosto nel desiderio e nella necessità di sottolineare che la collega va difesa, non solo perchè "arbitro", non solo perchè "donna" ma prima di tutto perchè "uomo" esattamente come me. Non è stato insultato un errore, una categoria, un difetto, ma una persona per il semplice fatto di esserlo e senza alcun motivo.
Prima di essere "arbitri" siamo "uomini", prima ancora di fischiare, respiriamo tutti allo stesso modo: questo è un motivo sufficiente per ritenere che abbiamo tutti lo stesso diritto ad esprimere le nostre capacità, le nostre possibilità e ad essere rispettati ed esentati da "crocifissioni" a priori, la cui esecrabilità è indiscutibile.