Se avessi anche lontanamente immaginato di scatenare questo putiferio, mai avrei segnalato questo articolo. Solo che, essendo di 1 paginata in un quotidiano di interesse interregionale, difficile non vederlo.
Premetto che il mio è un discorso general generico, e non si deve attagliare alla situazione oggetto di questa discussione (ovvero al Collega, che nemmeno conosco).
Iniziamo con lo sfatare un mito: non è vero che un Arbitro che ha fatto al massimo l’Eccellenza o la CAI non possa essere un eccellente, straordinario OA in serie A. Ascoltato e alle volte anche rispettato.
Perché? Perché la prima qualità di un OA di serie A deve essere la consapevolezza del ruolo. Cioè devi sapere che vai a svolgere la funzione di “taglia clip” e che la tua maggiore competenza richiesta dalla Commissione è di saper stare al tuo posto, e di saper usare molto bene VLC o Quick Time. Fine, stop, punto. Poi devi essere uno che ha tanto tempo libero, da dedicare a questo hobby. Perché la commissione ti designa a qualsiasi ora del giorno e della notte, non tiene nel minimo conto la professione che svolgi, per quanto nobilitante possa essere, e una volta che ti sei fatto Milano Napoli in giornata per andare a vedere la gara al San Paolo, rientri IN SERATA e senza pernotto, a differenze delle quaterne, e il giorno dopo mezza giornata la devi passare a fare il tecnico video perché ti arriva la gara e la devi scomporre in micro episodi. E mediamente, un OA di serie A che funziona bene, tra quelli che conosco, segnala almeno una 50ina di episodi. Il tutto, per essere ben valutato ovviamente.
Che ci fa la commissione con gli episodi? Si forma una idea sulla prestazione, e li usa per didattica. Per questo alla commissione non importa un fico secco della valutazione dell’OA perché rivedono l’episodio e lo valutano ex novo. E nel caso, diventa argomento di Brief nel raduno successivo di Coverciano (almeno, per come era organizzata AIA pre COVID19).
Gli OA non fanno nemmeno più il colloquio, e per questo non avete idea di come je rode, perché il rito del passaggio delle maglie deve avvenire in modi diversi, fantasiosi laddove capita, e surrettizi. Alle volte se sei uno che sta simpatico alla società di Casa, le maglie te le fa avere il dirigente addetto all’Arbitro. Altre volte se ceni con la terna, te le portano i ragazzi (se gli stai simpatico, e soprattutto se accettano di cenare con l’OA). Altrimenti finisci il tuo mestiere, e te ne torni a casa. A meno che tu non abbia la congiunta, nel qual caso racconti all’OT quello che scriverai nella relazione, e poi tiri su le tue robe e te ne torni a casa lo stesso.
Quindi, in linea di principio, la seconda caratteristica che qualifica un buon OA è la consapevolezza della vacuità del proprio ruolo, e l’empatia. Ho conosciuto persone davvero in gamba, che comprendono lo stato d’animo del Collega che magari pensa di aver commesso un errore, e che portano il tablet in spogliatoio per rivedere l’azione assieme. E cercare di trovare un punto di analisi comune tra OA e AE sull’episodio, aiutando nel contempo il collega a fare quella che si chiama “decompressione” dall’episodio. Perché uno che canna a dare un rigore in serie A, se ne accorge. E lo sa, e se lo vive sulla pelle. E da quel momento in poi, una parte del suo cervello sarà ospitata dalla paura dello stop tecnico, e dal senso di inadeguatezza per l’errore commesso. In questo senso, l’OA poteva ai tempi quando scendeva in spogliatoio essere di grandissimo ausilio se persona dotata di empatia, e di competenza in materia, per aiutare il Collega nel percorso di accettazione dell’errore e dell’analisi oggettiva.
E qui veniamo all’ultima qualità di un OA di serie A, ovvero la competenza tecnica. Preparare la gara, e sapere di calcio esattamente come la preparano le quaterne. Ed anche qui, ho conosciuto un sacco di persone coscienziose e preparate che preparavano la gara come si deve, e che magari per hobby conseguivano il patentino UEFA B di allenatore dilettante, per imparare i moduli di gioco, gli schemi su pallone inattivo, allo scopo di mettere a disposizione del collega la propria competenza e esperienza sull’analisi di episodi oggettivi, che magari per l’AE sono ormai scontati perché entrati nella routine di una sua “comfort zone” mentale.
E questo prescinde la categoria massima di tuo impiego, questo è solo e soltanto legato a con quanto amore e coscienza svolgi il tuo ruolo.
Per converso, ci sono i fenomeni. Ci sono quelli che entrano in spogliatoio forti della loro esperienza di Arbitri di 3 categoria e pontificano. E iniziano a dire che la notifica del provvedimento disciplinare al campione che prende 20 milioni di euro al mese non è stata incisiva. Che la fase di Proximity non andava bene. E che bla bla bla … fino ad arrivare al bordo del calzettone troppo basso, o allo stemma dell’AIA storto sulla divisa.
Ecco, quando un fenomeno arriva in serie A, di solito dura poco. Perché inizia a essere “fuori dal gruppo” e a non integrarsi. E dopo che il primo Arbitro va a lamentarsi da Rizzoli, e il secondo Arbitro pure … allora scatta il campanello di allarme. E il fenomeno dura poco.
Ecco, essere un fenomeno, o essere una persona innamorata dell’AIA coscienziosa e competenze, prescindono dalla massima categoria di impiego. Sono qualità naturali dell’essere umano.
Di solito, geo politica a parte, a questo servono le congiunte per gli OA. Mica per valutare la competenza tecnica. Ma solo a saggiare la grammatura umana della persona OA.
Questa è la mia esperienza, e questo vi racconto per quello che ho visto nei miei quasi 40 anni di tessera.