Più che al risultato sportivo in se mi riferivo alla preparazione: questi si saranno allenati anni e mesi insieme e per tutto questo tempo hanno tenuto nascosto al compagno che loro non avrebbero potuto partecipare impedendogli così a) di partecipare in modo pulito b) di partecipare ed ottenere un qualunque risultato (fosse stato anche l'ultimo posto).
Sì certo, come ho detto, le letture possono essere varie e la tua ha una sua logica. Potrebbe anche essere accettata da chi fosse chiamato a deliberare. Così come ne avrebbe una quella che valutasse i vantaggi ottenuti dal risultato sportivo, sia pure tarocco, nel periodo intercorso fra la gara e l’eventuale sentenza di revoca. Vantaggi economici, intendo, in termini di cachet per partecipazioni a meeting e competizioni altre. Perché un’azione risarcitoria prevede una quantificazione che poi il giudice valuterà se congrua o meno. Ne consegue che non è escludibile affatto una compensazione. Capisco che moralmente la faccenda appare sotto altra luce ed è innegabile un danno morale, ma tutto ciò va tradotto in soldoni (siamo in ambito civile e non penale) e le cose funzionano così. Con questo la mia è solo una riflessione senza pretesa di portare una qualche verità.
Piuttosto l’aspetto cruciale è che l’atleta pulito non può promuovere azione giudiziaria senza chiamarsi fuori. E’ una norma generale (CONI) che tutte le federazioni interne applicano: i tesserati (se vogliono restare tali) non possono agire giudizialmente contro altro tesserato in sede civile. Lo possono fare solo in presenza di un reato (quindi penalmente) solamente quando in esso c’è violazione di uno dei cosiddetti “diritti indisponibili”. Tradotto in concreto e, secondo gli orientamenti giurisprudenziali, in presenza di reati per i quali non si proceda solo su querela di parte.