Spalti deserti, squadre imbottite di riserve (o peggio), interesse quindi scarso dei club e nullo o quasi degli spettatori (anche tv): ogni volta che scende in campo la Coppa Italia è questa la triste cornice. Competizione che si ravviva (e nemmeno sempre) solo dagli ottavi, quando scendono in campo le big di Serie A. Situazione che si trascina da anni e il compito di rianimare la seconda competizione nazionale pare proprio impossibile, come colmare la distanza che la separa dalla sua “sorella” più illustre, la FA Cup inglese.
Ma davvero non si può fare nulla? Innanzitutto bisogna precisare che la Coppa Italia è una Coppa di Lega, quindi un torneo aperto solo ai club militanti nella lega che l’organizza (seppur non rigidamente esclusivo, come in Italia), per cui il paragone più corretto colla realtà inglese è non colla FA Cup ma colla Football League Cup, e chi segue un po’ le vicende albioniche sa già questa ha, in effetti, lo stesso interesse della nostra Coppa Italia.
In secondo luogo, il destino della coppa nazionale è uguale in tutta Europa (o quasi): “…stiamo cambiando formula quasi stagione dopo stagione proteggendo le grandi squadre, uccidendo poco a poco una competizione che potrebbe avere la stessa magia che ha in Inghilterra”. Parole tratte non dalla nostra Gazzetta dello Sport di qualche annetto fa, precedente la stabilizzazione del formato, ma dalla “Guía Liga 2008-09” della spagnola as e riferite alla Copa del Rey, ma che potrebbero benissimo essere ripetute ed interpretate per la Coppa Italia.
Il poco interesse, quindi, per la Coppa è a livello continentale: basti pensare che la prima stesura della riforma Platini per la Champions prevedesse la partecipazione delle vincitrici della Coppa nazionale delle prime 16 federazioni, con dei preliminari dedicati solo a loro in modo da garantire l’accesso alle migliori quattro alla fase a gironi; proposta bocciata pare per il nullo consenso ottenuto (voci di corridoio parlano di appena due leghe favorevoli: Italia e Francia). E anche: il Manchester United rinuncio a partecipare alla mitizzata FA Cup per prendere parte al primo mondiale per club FIFA.
Detto questo, esistono margini per migliorare comunque la Coppa Italia? Le soluzioni proposte nel tempo sono sostanzialmente due. La prima è: “bisogna trovare la formula adatta per valorizzarla”. Solitamente chi la propone evita di fare il passo successivo, ovvero descrivere la formula ideale. E forse non è un caso: a rileggere la storia della Coppa Italia si scopre che ha adottato praticamente ogni formula possibile ed immaginabile, dall’eliminazione diretta a gara unica o con andata e ritorno, alle fasi a gironi, fino alle formule miste. A grandi linee, la formula più usata, prima dell'attuale e della precedente, prevedeva una prima fase a sette gironi, una seconda a due, dove entrava il detentore, e la finale secca fra le vincitrici di questi ultimi; l’eliminazione diretta era quindi relegata alla sola finale (ma vi sono state stagioni con addirittura girone di finale a 4). Si potrebbe provare a mutuare quella del calcio a 5: torneo ad eliminazione diretta fra le migliori 8 dell’andata di serie A. Esistono forti dubbi che un torneo così corto possa interessare il pubblico, e senza dimenticare che dovrebbero giocare le migliori di serie A nella pausa invernale: facile prevedere un fiasco.
La seconda soluzione è quella che vorrebbe la FIGC iscrivere la vincitrice della Coppa Italia alla Champions al posto della quarta classificata di campionato. Soluzione che ciclicamente risalta fuori, sempre accompagnata da commenti entusiasti in chi l’ascolta. Peccato solo che chi la proponga (e chi l’avalla) si dimentichi un particolare: è l’UEFA a scegliere il titolo sportivo per partecipare alle sue coppe e non le singole federazioni. L’Italia, terza nel ranking UEFA, partecipa non con 4 club alla Champions ma colle prime quattro del campionato: la FIGC non ha margine di manovra per cui tale via non sarebbe nemmeno da proporre.
In conclusione, l’unica soluzione per porre fine al triste spettacolo della Coppa Italia è quella drastica: smettere di giocarla. Non è proposta “traumatica” o senza precedenti: alcune federazioni non ne disputarono un'edizione per passaggio dal o al calendario solare e addirittura nel 2007/08 in Austria non la si giocò per meglio prepararsi all’Euro casalingo. Certo, si è sempre trattato di un “salto” di una sola stagione e si può ricordare che la Coppa Italia garantisce un posto in Europa, ma è anche vero che, dalla soppressione della Coppa delle Coppe e con un andamento accentuatosi (come intuibile) dall'abolizione dell'iscrizione della finalista in luogo della vincitrice, a spanne per metà delle federazioni la coppa nazionale non serve nemmeno più all'iscrizione ai tornei continentali. Per cui non si intravede il senso di far proseguire un torneo agonizzante da decenni come la Coppa Italia. E se fosse solo per dar spazio e visibilità ai panchinari, si può obiettare che farli giocare una tantum (spesso nel deserto) non è un gran servizio loro offerto e tanto varrebbe allo scopo (ri)proporre il campionato riserve.