Nel cervello degli arbitri

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Nel cervello degli arbitri

Messaggioda admin il mer dic 05, 2012 2:33 pm

Una delle attività preferite da una gran parte degli italiani è discutere, senza fine, degli errori arbitrali nelle partite di calcio. La discussione ruota, e poi puntualmente si arena, attorno a due questioni: o l’arbitro e i suoi collaboratori sono incapaci o sono in malafede. Scartando la seconda possibilità, l’incapacità non è di per sé una spiegazione...

Se il fatto di commettere troppi errori definisce il grado di scarsità dell’arbitro, non può essere a sua volta la scarsità la causa degli errori. Un altro argomento è che l’arbitro può sbagliare, e quindi dobbiamo accettarne l’errore. Questo però non spiega perché l’arbitro sbagli. Spesso, inoltre, l’argomentazione è seguita da un paragone: come sbagliano i calciatori possono sbagliare anche gli arbitri. L’equazione non solo non spiega nulla, a meno che non si spieghi come mai i calciatori sbaglino, ma è anche impropria. Infatti, gli errori dei calciatori riguardano perlopiù l’esecuzione di un gesto motorio, come calciare fuori a porta vuota, mentre l’errore dell’arbitro è squisitamente di tipo percettivo.

Per capire gli errori, definiamo in modo essenziale la percezione come la capacità del cervello di distinguere tra (almeno) due stati del mondo. Semplificando, un atto percettivo corrisponde alla capacità di distinguere se uno stimolo è, per esempio, bianco o nero, caldo o freddo, noto o sconosciuto, presente o assente, dentro o fuori, e così via. Similmente, l’arbitro deve spesso distinguere se la palla ha o non ha varcato la linea, se l’attaccante era o non era oltre l’ultimo difensore, e quindi in fuorigioco. Se chiariamo quali meccanismi cerebrali determinano questo tipo di decisioni, allora capiamo, e forse accettiamo, sia la decisione corretta sia quella sbagliata. Vediamo quindi come funziona il cervello (degli arbitri) quando deve decidere quello che ha visto. Anche in assenza di stimoli i neuroni del cervello hanno un’attività di base che varia secondo una distribuzione gaussiana. Oscilla cioè continuamente attorno ad un valore medio, con valori più alti o bassi di questo, ma che sono sempre meno probabili più si discostano dalla media stessa. Inoltre, qualsiasi stimolo è rappresentato nel cervello come una variazione dell’attività di base dei neuroni.

Una spiegazione chiara in merito a come il cervello decida se lo stimolo è presente o assente è stata fornita già negli anni 60 dalla Teoria della Detezione del Segnale (o Signal Detection Theory, SDT), un modello molto potente, validato sperimentalmente, per descrivere i meccanismi percettivi in condizioni d’incertezza. La SDT si basa su alcuni concetti fondamentali: il rumore, il segnale, la sensibilità discriminativa della persona e il criterio di risposta. La SDT chiarisce perché prendere una decisione giusta (o sbagliata), è solo una questione di probabilità.

Il rumore. Consiste in qualsiasi attività neurale che non corrisponde a quella generata dal segnale di nostro interesse, attività che come abbiamo visto varia spontaneamente in modo gaussiano.

Il segnale. Corrisponde all’attività neurale creata dall’evento che dobbiamo rilevare o discriminare. Per esempio, il debole squillo del telefono che dobbiamo sentire. Per l’arbitro il segnale può essere la palla oltre la linea, oppure l’attaccante in fuorigioco. Il segnale però è sempre inevitabilmente immerso nel “rumore”. La risposta dei neuroni al segnale consiste quindi in una variazione dell’attività di base corrispondente al “rumore”, che diventa equivalente a “rumore+segnale”, anch’essa con un andamento gaussiano.

La sensibilità. Il cervello può essere più o meno sensibile al segnale, come un radar più o meno potente. Il segnale, in un sistema sensibile, produrrà un’attività neurale molto distinta da quella generata solo dal “rumore”, aumentando la probabilità di esser rilevato correttamente. Se però il segnale è debole, o se il sistema è poco sensibile, il cervello è in condizioni di estrema incertezza, perché l’attività neurale che corrisponde a “rumore+segnale” è simile a quella che corrisponde al solo “rumore”. Il problema cruciale per il cervello è perciò distinguere la condizione di solo “rumore” da quella di “rumore+segnale”. Dato che la soluzione certa non esiste perché le due attività hanno distribuzioni che si sovrappongono, il problema è risolto adottando un criterio.

Il criterio. In pratica, il cervello imposta un valore soglia di attività neurale. Superata tale soglia, preferisce interpretare l’attività dei neuroni come una prova della presenza del “segnale” (anche se potrebbe essere solo “rumore”), mentre attività inferiori sono interpretate come evidenza di solo “rumore” (anche se potrebbe esserci il segnale). La regolazione della soglia, o criterio, è un aspetto fondamentale, e può variare in funzione della situazione, determinando lo stile decisionale (liberale o conservativo).

Sensibilità e criterio sono due proprietà totalmente indipendenti nel sistema percettivo del cervello, che determinano assieme la decisione finale. Infatti, a parità di criterio usato è meglio un arbitro con un sistema più sensibile, perché può potenzialmente rilevare più facilmente il segnale. Lo stesso arbitro però può produrre decisioni diverse adottando, in situazioni differenti, criteri diversi (pur avendo la stessa sensibilità). Con la squadra A potrebbe usare un criterio conservativo circa i possibili fuorigioco in attacco: difficilmente segnalerà un fuorigioco che non c’è, ma altrettanto difficilmente lo segnalerà quando c’è. Questo stile avvantaggia la squadra A nelle sue azioni di attacco contro la squadra B. Se usa lo stesso criterio anche per la squadra B allora non ci sono problemi, è semplicemente un arbitro conservativo nel segnalare il fuorigioco (diciamo che lascia correre). Potrebbe però adottare un criterio diverso, più liberale, e quindi fischiare fuorigioco in attacco alla squadra B in quasi tutte le situazioni. Di sicuro indovinerà molti dei fuorigioco effettivi, ma bloccherà anche molte azioni regolari della squadra B fischiando fuorigioco inesistenti.

Se usasse consapevolmente due criteri diversi starebbe deliberatamente favorendo una squadra rispetto all’altra. Tuttavia, il criterio può essere regolato anche in modo inconsapevole, senza che l’arbitro se ne renda conto. Bastano anche piccole variazioni del criterio per incidere, statisticamente, sul risultato finale. Da cosa dipende la regolazione del criterio? Dipende dalle informazioni a priori. Se l’arbitro sa, già prima dell’incontro, che la squadra A è molto brava a far cadere in fuorigioco la squadra B, sarà statisticamente portato a vedere molte situazioni simili. Il criterio dipende però anche dalle conseguenze delle decisioni percettive. Se per aver visto e dato un rigore l’arbitro viene punito e attaccato sui media, è probabile che successivamente il criterio sarà regolato in direzione opposta, portandolo ad essere meno propenso ad assegnare rigori, o viceversa. Immagino che il sistema cognitivo e percettivo dell’arbitro possa ricevere, dopo ogni partita, molte “spinte” in tal senso, spinte che possono portare a cambi di criterio che incideranno nella partita successiva.

Si può fare qualcosa per migliorare la prestazione arbitrale? Ritengo di sì. L’ideale sarebbe avere arbitri con un profilo percettivo ottimale: un’elevata sensibilità al segnale (che riduce gli errori) e con un criterio regolato in modo bilanciato (il che ottimizza gli errori). Esistono procedure sperimentali in grado di valutare il profilo percettivo di una persona, ed è dimostrato che con l’allenamento si può decisamente aumentare la sensibilità del sistema percettivo, e regolare un criterio ottimale in funzione della situazione specifica. Credo che l’arbitro debba essere preparato non solo fisicamente, ma anche da un punto di vista cerebrale. Gli errori non potranno mai essere eliminati, ma grazie alla scienza, e alla tecnologia, possono essere sicuramente capiti, ridotti e ottimizzati.

Prof. Massimo Turatto
Centro Interdipartimentale Mente Cervello (CIMeC)
Università degli Studi di Trento

fonte: http://brainfactor.it
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Re: Nel cervello degli arbitri

Messaggioda advocat82 il gio dic 06, 2012 8:35 am

Una disamina davvero interessante.
Sarebbe bello capire che tipo di esercizi il professore consiglia per poter "allenare" l'attività celebrale verso la direzione della "percezione ottimale"
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Re: Nel cervello degli arbitri

Messaggioda Reptic il gio dic 06, 2012 1:35 pm

Interessantissimo. Si può dedurre, come spesso sostengo, che andare a leggere le classifiche prima della gara potrebbe alterare, in modo inconscio ed inconsapevole, il "criterio" nel giudizio degli episodi...
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Re: Nel cervello degli arbitri

Messaggioda missed_approach il mer ago 14, 2019 9:00 pm

admin ha scritto: L’equazione non solo non spiega nulla...


Ma.... a chi interessa la spiegazione dell'errore?
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