Credo che l'assunto di base, quello che porta alla nascita della vecchia CE, fosse quello di creare i famosi Stati Uniti d'Europa. Per far questo però, la condizione necessaria e assolutamente inevitabile, secondo il mio modesto parere, era quella di creare prima un'europa di popoli, fatta di regole e norme precise per tutti e soltanto dopo un'unione monetaria che favorisse il commercio all'interno dell'eurozona.
Prendo spunto da questa riflessione di advocat82 per ribaltare totalmente la sua tesi e poi spendere due parole sulla Grecia.
Ciò che sostiene è del tutto ragionevole sul piano della teoria politica, del progetto costruttivo ma è insostenibile guardando alla storia e alle cose con l’occhio dell’indispensabile realismo.
La storia ci dice che gli stati federali sono sorti quando un accettabile humus ideale, un idem sentire, una visione che unificasse era già presente e/o l’impermeabilità geografica ne fossero la levatrice.
Creare un’unione di popoli è una bella e nobile frase che tuttavia trascura il come e il chi dovrebbero essere gli autori. Un sentimento di comunanza non si crea per né decreto né per proclami. Si può operare sul piano educativo, in senso lato, ma si deve mettere in preventivo che esistono almeno due fattori: il tempo e le circostanze esterne delle vicende del globo.
Insomma una pura velleità e come sempre quella testa dura della storia ci spiattella, un giorno sì e l’altro puro, l’impietoso elenco dei fallimenti (dal colonialismo, anche quello meno ignobile, agli imperi più o meno dichiarati da quelli antichi a quelli del tardo 900 e cosi via).
Si scelse la strada inversa (giustamente aggiungo): quella pragmatica di creare un collante non ideologico, ma che toccando in concreto il quotidiano di ciascuno costituisse un volano per estendere la comunanza dalla moneta a un primo abbozzo d’identità. Operazione rischiosa ma lungimirante; i padri fondatori intuirono, prima ancora che si concretizzasse com’è oggi sotto gli occhi, la globalizzazione e la necessità di creare da subito un fronte economico robusto e concorrenziale nei confronti dei nati e nascenti imperi economici.
Questo iter non fu figlio del caso o dell’incomprensione, al contrario si vedeva all’orizzonte la modernità e il post-ideologico come barriere insormontabili per ogni operazione pedagogica finalizzata a instillare una cultura europea.
La crisi della CE in buona sostanza non è figlia di operazione sbagliata, di una scelta inopportuna. Questa è una lettura facile ma superficiale che attribuisce immeritata preminenza alle ideologie, ai disegni, sottovalutando gli effetti dirompenti della rivoluzione economica globale che è la principale causa dell’attuale sfaldamento europeo.
Rivoluzione tecnologica e rivoluzione economica hanno impoverito l’Europa, l’Occidente, il Giappone inserendo nel mercato globale attori avvantaggiati nell’ascesa dalle minime pretese delle masse abituate a tirare la cinghia. USA e Giappone, stati e economie coesi, solidi hanno saputo reagire senza panico limitando al minimo gli scrolloni. La CE, fragile e in costruzione, frammentata fra popolazioni diversissime per costumi, abiti mentali traballa e rischia. Un mondo che va dal perdonismo cattolico al rigorismo luterano e calvinista, una miscellanea di sentimenti e modi di pensare di difficilissimo amalgama.
Veniamo all’euro, il grande imputato. Giova ricordare che entrò in vigore in piena crisi economica mondiale, tre mesi dopo l’attentato alle torri tanto per ricostruire lo scenario, seguita da crisi finanziaria complice (?) la tecnologia con l’affermarsi di sistemi di trading ad alta frequenza, solo come esempio, ha distorto il fisiologico andamento delle transazioni. La zona Euro non ha saputo difendersi a sufficienza dalla finanziarizzazione dell’economia mentre Cina, BRICS ecc. imparavano a produrre, a casa nostra ci si è adagiati sul lucro borsistico, con poche eccezioni.
Ora colpevolizzare chi è stato capace di continuare a “fare” (parlo della Germania) è la classica manovra della ricerca del capro espiatorio, tanto simile al complotto demo-pluto-giudaico-massonico di mussoliniana memoria tradotto nell’accoppiata euro-Merkel.
Ora il caso Grecia fa emergere in tutta la sua pochezza certi dibattiti ove qualche sprovveduto o furbastro sostiene che i soldi sono andati a salvare le banche, come se esse fossero dei panciuti riccastri e non delle istituzioni che detengono i quattrini di tutti, anche dei poveracci. Metterle oltre lo stress fisiologico o peggio farle fallire significa (Lehman docet) mettere sul lastrico tanti, effetti domino sconvolgenti.
E, se devo dire, far leva sul sentimento ricordando gli splendori della civiltà in cui tutti ci riconosciamo, è operazione suggestiva ma che non tiene conto come sempre del divenire della storia. Per inciso non ricordo lacrime per la decadenza degli stati della Mesopotamia senza la cui civiltà Socrate e Aristotele avrebbero coltivato i campi. E neppure per la civiltà araba cui siamo debitori di quella sciocchezza che si chiama algebra.
Quanto a Tsipras, la sua operazione furbastra di un referendum praticamente a risposta obbligata, lato peggiore della democrazia, checché ne dicano i suoi laudatori, accozzaglia non a caso di estremisti sognatori, filo nazisti, grilli sparlanti e furbetti dell’ultim’ora, dovrà rassegnarsi e sperare non nella bontà di Merkel (normale che chi ha più peso conti di più se parliamo di politica e non della Vispa Teresa) ma nella convenienza geo-politica a sopportare, rimettendoci, l’incapacità di una nazione a uscire dal Suk.
La CE sopravvivrà, con o senza Grecia. I populismi alla lunga sono perdenti. Gli stati federali che ci appaiono come i più solidi ed esemplari hanno visto scorrere fiumi di sangue prima di diventare tali. Al confronto queste sono beghe condominiali.Sono stato prolisso lo so.